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Il viaggio di Giulia

India 2016

Dal 19 ottobre al 12 novembre Lucia, insieme a Elena Erizi, ideatrice del progetto “In My Eyes”  e alla volontaria Giulia Lombardi, andranno in India dove visiteranno tutti i centri di adozione a distanza dell’Associazione.

4 voli aerei, 1 treno notturno, 4000 km in macchina in zone a volte pericolose, le visite alle famiglie nelle periferie delle grandi città e negli sperduti villaggi della campagna rurale, saranno le sfide che Giulia, Elena e Lucia affronteranno.

Giulia ci porterà per mano in questo viaggio solidale, raccontandoci i suoi momenti piu’ intimi di tristezza e frustrazione a contatto con la povertà e la disperazione di queste famiglie ma anche la gioia di portare speranza e di sapere che questa esperienza cambierà il suo sguardo nei confronti del mondo.

9/11 THORRUR

Domenica 6 novembre, arriviamo a Thorrur, il centro é tenuto da suore e accoglie solo bambine orfane, che hanno solo un genitore oppure che hanno problemi di salute in famiglia. Tra le bambine ospitate al centro ce n’è una che ha una particolarità che non sfugge agli occhi. É albina, la sua pelle è chiarissima, i capelli sono stati tinti con l’hennè quindi risultano un po’ arancioni, ma sono biondi chiarissimi, quasi bianchi. La cosa che mi colpisce, essendo la prima volta che vedo una persona albina così da vicino, sono gli occhi. Sono di un colore stranissimo, tra il rosso, il viola e il marrone chiaro e le pupille fanno dei movimenti rapidi e orizzontali. Ha qualche problema di vista, soprattutto se esposta al sole, ma Harshini è furbissima e ha il suo caratterino. Anche lei ha alle spalle una storia non molto felice. Ha solo 8 anni, suo padre è morto e un giorno la bambina ha trovato la madre in casa che si era suicidata. Per un po’ ha vissuto da una zia, ma per la famiglia era un peso e così le suore hanno deciso di prenderla con loro. I primi tempi a scuola non è stato facile per lei, tutti la prendevano in giro per via del suo colore diverso. È stata una settimana a piangere ma poi, forse con l’aiuto delle suore e delle sue compagne si è fatta forza e adesso è lei che prende in giro gli altri dicendo che lei è una “foreign”, una straniera che ha origini europee. È domenica e non riesco a sfuggire alla messa, stavolta in telegu (dialetto del Telengana). Elena è rimasta a letto moribonda. Dopo la messa io e Marco iniziamo a fare le visite alle famiglie e con noi vengono anche le rispettive figlie per fare la visita mensile ai propri cari. La zona è molto povera, la maggior parte dei genitori svolge lavoretti giornalieri nei campi. La situazione familiare di queste bambine non é il massimo. La prima casa che visitiamo è composta da due stanze, in cui vivono una madre con un figlio che quando ci saluta si mettere a piangere. Di conseguenza inizio a piangere anch’io perchè se vedo qualcuno che lo fa, lo seguo! Con la seconda famiglia va anche peggio. I genitori, tutti e due affetti da HIV positivo, hanno 5 figlie, la maggiore delle quali sono malate. La madre è disperata, piange, dice che sono giorni che non ha niente mangiare per la famiglia e la suora ci racconta che questa donna ha pensato varie volte di suicidarsi, schiacciata dalle pressioni e dalla fatica di questa vita. Il padre sta molto male, lo si vede in faccia e anche nel corpo, magro, debole, non può lavorare. E quando ci allontaniamo scoppia in lacrime salutando la figlia, forse perché non sa se il mese prossimo la rivedrà. Le suore ci dicono che molti bambini piccoli non sanno cosa i genitori abbiano, e quando questi si recano al centro per ricevere medicinali viene detto ai figli che sono andati lì per prendere il riso. É la prima volta che mi trovo faccia a faccia con un malato di HIV ed è molto toccante. Troviamo anche un’altra madre e un’altra figlia con HIV positivo. Negli altri casi troviamo solo dei nonni, alcuni dei quali ci fanno vedere le fotografie dei figli deceduti. Tanti dicono che i loro cari sono morti di “febbre”, ma chissà quanti tipi di disturbi ci sono che vengono definiti febbre, quando non lo sono affatto. Manca la conoscenza, spesso gli ospedali sono molto lontani. In un’altra casa dove c’è una coppia di nonni, sentiamo le grida di un canto disperato della nonna che pensa al suo figlio che ormai non c’è più. Non avevo mai scritto fino ad ora questi episodi, ma in questo centro le visite alle famiglie sono state molto più toccanti e forti. Le bambine però stanno bene; fortunatamente possono stare un po’ lontane da questo problemi e vivere una vita più serena. Vanno a scuola, giocano e come tutti i bambini lavano i propri vestiti, li stendono, lavano i piatti.. Il pomeriggio finiamo di vedere le famiglie e l’autista ci viene a prendere con la stessa auto della mattina ma addobbata per un matrimonio. Ci sono un sacco di rose attaccate con lo scotch ahah e sul davanti un mazzo di fiori fissato al paraurti. Praticamente l’autista ha portato una coppia di sposi in chiesa, poi è venuto a prendere noi e alle 17 deve tornare a riprenderli. La sera le ragazze fanno uno spettacolino interminabile di danze e canzoni per accoglierci. Bambine dai 6 ai 15 anni ci mostrano balli tradizionali indiani che ci affascinano come sempre. Il giorno seguente continuiamo le visite alle famiglie e il pomeriggio intervistiamo no stop tutte le bambine che fanno parte del progetto di adozione a distanza. Sono molto carine e parlano un buon inglese anche le più piccole. Prima di cena ci viene la brillante idea di farci fare l’hennè, qui molto di moda e sinonimo di bellezza soprattutto nella tradizione hindu. Come dal tatuatore io ed Elena ci sediamo e due ragazze iniziano il loro lavoro. Alla fine mi ritrovo un braccio pieno di disegni come un vero gangster e quando é pronta la cena noi siamo come due burattini perché dobbiamo aspettare che l’hennè diventi secco. Abbiamo braccia, mani (dorso e palmo) completamente disegnati. Però l’effetto è ganzissimo e ci piace avere un po’ di cultura indiana addosso a noi. La sera ci troviamo con le bambine e una suora ci mostra una bella danza indiana; non avevamo visto in nessun centro una suora ballare, ci è sembrato molto bello e femminile da parte sua, nonostante il suo ruolo. L’ultima mattina che passiamo al centro aiutiamo le bambine a vestirsi e a prepararsi per la scuola. Hanno tutte una divisa e, nonostante le scarpe bucate, i calzini troppo grandi, gli zaini rotti, hanno un rituale di cura del corpo invidiabile da noi europei. Si mettono l’olio nei capelli, si pettinano, si fanno delle trecce, si mettono una polvere bianca profumata sul volto. Io aiuto la “nana”, la più piccoletta del centro, che ha sempre il sorriso stampato in faccia e ti guarda con quegli occhietti furbi da cerbiatto! Una ad una salutiamo tutte le bambine che sono un po’ dispiaciute per la nostra partenza. Ma abbiamo l’ultimo centro da visitare e un l’ultimo volo interno da prendere. Voliamo a Bangalore, la cui tradizione sono i fagioli bolliti. Ormai siamo quasi giunti al termine di questa bella esperienza, ma i ringraziamenti li farò alla fine! Ciao gente!

Thorrur

06/11 ARAKU

Vi avevo lasciato all’arrivo alla stazione di Jharsuguda, dove avremmo dovuto prendere il treno notturno per la stazione di Rayagada, mercoledì 2 novembre. Ecco, alla fine sul quel treno non ci siamo mai saliti. Arrivati alla stazione infatti ci accorgiamo che sui biglietti c’è una sigla strana. Le suore di Karangabahla che ci hanno accompagnato ci comunicano che siamo in lista d’attesa. Il che vuol dire che non c’ è stata la conferma della prenotazione dei biglietti. Dopo aver mangiato in piedi davanti alla stazione con la cena portata dalle suore stile famiglia da Tirrenia domenicale (hanno paura che non mangiamo abbastanza), andiamo alla ricerca di un hotel nelle vicinanze perché il treno da prendere è la mattina seguente. Troviamo un hotel a 5 euro a testa, nemmeno troppo malvagio e aspettiamo il giorno dopo. Salutiamo le suore che si son fatte un bel po’ di ore di auto e che devono ritornare a casa. La mattina siamo carichi, abbiamo infatti dormito su un letto vero, con un materasso alto più di 2cm. Ci avviamo alla stazione, ma i problemi non sono finiti. Appena arrivati veniamo seguiti da un ragazzo che lavorava all’hotel che ci accusa di non aver pagato una camera, senza parlare inglese continua a rimanere lì. Alla fine fortunatamente arriva anche un altro tipo e ci lasciano prendere il treno che nel frattempo era già arrivato! Saliamo e ci sistemiamo subito sulle cuccette e, dormendo, tiriamo dritto per qualche ora. Per fortuna il treno non è affollato come quello che avevo visto la prima volta con Fede e passiamo velocemente le 8 ore di tragitto. Elena viene multata di ben 200 rupie (nemmeno tre euro) perché beccata a fumare alla porta (che rimane aperta tutto il tragitto) del treno. Ecco la nostra fermata! Ad attenderci c’è il prete del centro di Araku. In macchina non c’è abbastanza posto e ci ritroviamo in quattro nei sedili posteriori ad incastro, facendo a turno con le posizioni di lato. Non male sapendo che ci sono 5 ore di macchina prima di arrivare nell’Araku Valley. È buio ormai, ma dalle curve in salita capiamo che stiamo salendo. La valle infatti è a 1000m. Scopriamo che qui non si parla hindi! Proprio ora che avevano imparato qualche parola e pensavamo di essere ganzi ahah; qui si parla il telugu! Arriviamo finalmente dopo cena e i bambini ci salutano velocemente prima di andare a letto. La mattina due ragazzi ci accompagnano per vedere il centro. L’aria è più fresca rispetto a Karangabahla e il cielo per la prima volta nuvoloso! Ci sono vari dormitori, e i più piccoli, che ancora a volte si fanno la pipì addosso dormono in terra! I ragazzi ci dicono che questi bambini quando smetteranno di farla verranno promossi nelle camerate dei “grandi” dove ci sono i letti! Vediamo poi una stanza con un bambino sdraiato in terra sotto le coperte; è la stanza dei malati, che inizialmente ci fa un po’ pensare quanto sia giusto isolare un bambino per giorni, ma invece poi capiamo che lasciarlo nella sua camera insieme ad altri 40 bambini significherebbe contagio sicuro. Dopo colazione partiamo subito per la visita delle famiglie. Ci portano in un villaggio sperduto, a due ore di viaggio dal centro. Siamo in una zona tribale, dove questi piccoli villaggi sono piuttosto isolati dalla città. È affascinante, sembra di essere in un racconto dell’India dei primi del 900, siamo come degli esploratori che si addentrano in questi villaggi dove l’uomo bianco non è mai passato prima. Immersi nella natura verde, case di legno e paglia, pozzi, donne anziane con tre orecchini al naso, collane e bracciali, bambini mezzi nudi in giro con al collo collane fatte di legni e pietre. Rimaniamo affascinati. Ed è strano ancora di più come queste famiglie siano così semplici e il loro bambino viva nel centro e sappia parlare inglese benissimo a differenza dei genitori. Mi sono sentita veramente fortunata a poter visitare questi villaggi, irraggiungibili da un turista qualsiasi. Il pomeriggio iniziamo le interviste ai bambini che sono super simpatici e parlano tutti un ottimo inglese (meglio del mio!). Nel tardo pomeriggio ci portano a visitare il museo del caffè dove alla fine esco con un’amaca che pesa 10kg, comprata nel negozietto vicino, e alla quale dovrò trovare una collocazione intelligente nello zaino. Prima di cena i bambini mettono la musica nello spazio aperto centrale della struttura e iniziano a ballare. Si creano file tipo serpente (animale sacro per gli hindu) e il primo della fila fa partire un movimento che tutti ripetono. Assistiamo ad una danza tipica tribale ed è bellissimo. Chiamata dai bambini, non ci penso due volte e mi butto in mezzo a loro! La musica, il ritmo del tamburo, i movimenti, sapere che le tribù locali fanno questi tipi di ballo è bellissimo, è stato uno dei momenti più belli e divertenti del viaggio! A malincuore dobbiamo andare a cena, ma chiediamo ai bambini di rifarlo anche la sera successiva! La mattina usciti di camera assistiamo all’entrata a scuola dei bambini che si trova a 5min di cammino dal centro. Dopo colazione i bambini si mettono calzini e scarpe.. c’è chi ha la scarpa bucata, i calzini diversi uno dall’altro, lo zaino con la cerniera rotta più grande di lui. Poi gelatina e pettinata davanti ad uno specchio comune. Poi senza che nessuno dica niente si crea una fila e passando i bambini ci salutano “good morning sister” belliniiiii 🙂 super dolci! Io intanto ho già scelto i miei preferiti come in ogni centro. È venerdì, e cosa fa il venerdì mattina il livornese medio? Mercatino! Si, perché il venerdì mattina nell’Araku Valley c’è il mercato! Con due ragazzi che ci fanno da guida ci addentriamo nel caos che regna tra i banchetti di frutta e verdura, ma non solo. Troviamo signore che vendono pesce, prodotti per la casa e per finire passiamo dal luogo in cui si comprano le capre! Gente che le tasta, toglie loro delle ciocche di peli, guarda sotto gli zoccoli. Tutti chiaramente ci guardano perché saremo i secondi bianchi che vedono andare al mercato di Araku, anche se ci dicono che da qualche anno a questa parte sta diventando una zona frequentata da turisti. Proseguiamo poi verso altri villaggi da visitare. Mi piacerebbe vivere una settimana in uno di questi villaggi dove regna la pace e la serenità. Ah bene! Il pomeriggio cricket! I bambini mi vogliono in squadra con loro e inaspettatamente sono fortissima, anche se non ho capito bene le regole. I bambini mi fanno il tifo finché non inizia a piovere e il gioco finisce. Siamo arrivati all’ultima sera e vogliamo ballare! I bambini sono contentissimi e ripartono i balli tribali, cambio gruppo di tanto in tanto e cerco di andare a tempo. Dopo il prete divide i bambini in tre squadre in base all’età e le fa sfidare! Ma dovete vedere come sono bravi! Io ero gasatissima perché mi piace da morire vedere la gente che balla hip hop e questi bimbetti di 7 anni che andavano a mille cattivissimi ahah eccezionali! Ci siamo divertiti un sacco. È l’ora di andare a letto e i bambini ci salutano con gli occhioni sapendo che domani partiremo. Lucciconi! La mattina dopo salutiamo con baci e abbracci tutti i bimbi che inizialmente ci danno la mano per dirci “goodbye” ma io poi li stringo a me ahah. Dopo che sono andati tutti a scuola, carichiamo le valigie e partiamo. Abbiamo l’aereo per Hyderabad tardo pomeriggio e il padre si offre di accompagnarci facendoci fare una mini gita. Prima tappa le “Borra Caves”: delle profonde cave che troviamo sulla strada del ritorno. Illuminate da luci colorate stile disco dance anni ’80 e pieni di pipistrelli sono visitate da indiani molesti che ogni 3 passi ci chiedono di fare un selfie e urlano nelle grotte. Per 50 cents, da buoni turisti occidentali vecchio stampo, ci facciamo fare una foto nella cava da un ragazzo che ce la stampa nel momento. Usciti ci muoviamo direzione mare! L’aeroporto è infatti sul mare e il padre ci porta a mettere i piedi nell’Oceano Indiano. Mare terribile, ma un po’ d’aria marina ci rincuora e ci fa pensare alla nostra Livorno. Pranziamo con banane e mandarini e arriviamo all’aeroporto dove ci dividiamo da Lucia, che vola diretta a Bangalore, mentre noi 3 passiamo prima a visitare il centro di Thorrur. Dopo qualche problema con le valigie e con i biglietti saliamo sull’aereo, ripensando un po’ a tutti i centri visitati. Riflettendo che il tempo é volato, ma allo stesso tempo sembra una vita fa che abbiamo visitato il primo centro a Loni. Anche se non siamo ancora arrivati alla fine di questo viaggio penso che sono stata fortunata a farlo, a vedere cose che da normale turista non avrei visto, conosciuto ragazze e bambini eccezionali, con storie di sofferenza e difficoltà ma che adesso vivono al meglio la loro vita, bambini che con un solo sguardo ti conquistano. Qui ho visto gli occhi più belli ed espressivi di sempre. E in fondo in fondo continuerei ancora un po’ questa esperienza, ormai mi sono abituata al ritmo indiano! Per ora è tutto, qui è tutto “very andam” (bello in telugu).

Alla prossima, Giulia!

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02/11 KARANGABAHLA

Martedì 29 ottobre, arriviamo all’aeroporto molto presto, vedendo il bellissimo sole spuntare durante il viaggio. Le bimbe impazziscono vedendo negozi occidentali per mangiare, in effetti è un mese che mangio solo riso e verdure, ma non cedo, ormai sono in mentalità indiana salutista. Voliamo fino al famosissimo aeroporto di Ranchi, dove ad attenderci ci sono le suore del nuovo centro che andremo a visitare per valutare se possa essere inserito nel progetto dell’associazione. Il paesaggio è nuovamente cambiato: molto più verde, un sacco di campi, non c’è il caos della città. Questo centro accoglie sessanta ragazze, con alle spalle storie di violenza, sfruttamento minorile e situazioni familiari pessime. Qui oltre che a studiare, hanno modo di fare lavoretti di cucito e producono assorbenti a partire dal puro cotone grezzo che poi vendono ai villaggi vicini. Ci fermiamo una mezzora e poi ripartiamo in vista di Karangabahla. La terra si fa più rossa, bambine che a bordo strada camminano portando sulla testa grandi contenitori di acqua, la carnagione delle persone è più scura. Ci stiamo muovendo verso sud. Dopo 6 ore di macchina finalmente arriviamo al centro. Nonostante sia piuttosto tardi, le bambine ci hanno aspettato e ci danno il benvenuto con una canzoncina di “Hearty Welcome” che ormai sentiamo in ogni centro ma remixata in maniera diversa ahah. Abbiamo la camera a tre e prima di dormire salviamo un rospino che saltellava in mezzo ai nostri zaini.
In questi giorni si celebra il Diwali, che non abbiamo capito se abbia una data di inizio e una di fine, perché è 3-4 giorni che lo sentiamo dire e la gente spara i botti. Visitiamo le famiglie dei bambini. Le case sono fatte di argilla e escrementi di mucca, sono composte da corridoi e all’interno ritroviamo l’essenzialità delle case dei villaggi indiani. La maggior parte dei genitori fa lavoretti giornalieri oppure lavora nei campi. Nonostante la situazione povera, il paesaggio, la natura rendono più piacevole per noi la visita e ci sembra che sia una dimensione molto rurale e un po’ arretrata ma non di estrema povertà. Il pomeriggio giochiamo un po’ con le bambine, qualche scambio a badminton, qualcuno fa un puzzle, altre studiano. La sera ci attende uno spettacolino per celebrare la nostra presenza e in più il Diwali! Si inizia con una preghiera in giardino e l’accensione di candele intorno alla casa, per scacciare il male. Accendiamo anche alcune candele di un bel candelabro, una ciascuno. Molto bello e anche solenne. Poi i bambini impazziscono quando le suore tirano fuori i botti e le stelle luminose. Gente che corre e ride ovunque. Dopo ci accomodiamo tutti in una stanza e parte lo spettacolo. Canti e danze. Alla fine ci proviamo anche noi l’orecchino che dal naso arriva all’orecchio ma che è anche collegato alla testa. Non so come si chiami e non so spiegarvi per bene come sia fatto. Chiaramente ci buttiamo in danze improvvisate. Ormai abbiamo anche dei passi studiati che riproponiamo sempre e sono il nostro pezzo forte. A letto subito dopo che la mattina seguente abbiamo la lezione di yoga! Due ragazze fanno da insegnanti e noi altre 30 ci sistemiamo alla meglio nella stanza e si parte con l’attività fisica! Saluto al sole, qualche piede in faccia e qualche spallata ma fa bene alla nostra pigrizia! Ed eccoci all’ultimo giorno nel centro. Noi tre donne andiamo a completare le visite alle famiglie, tutto tranquillo finché non ci imbattiamo in un villaggetto in cui tutti hanno bevuto birra di riso (che producono da soli) per celebrare il Diwali. E fin lì tutto bene. La mamma sdentata che ride da sola, un ragazzo a cui cade di braccio un bambino, ma ancora niente di che. Ad un certo punto esce un altro uomo da non si sa dove e inizia ad urlare contro di noi e barcollando si avvicina. Noi scappiamo a gambe levate e ci chiudiamo in macchina. Arriva l’autista e ci allontaniamo vedendo che il tipo continua a sbraitare. Si era creata intanto un po’ di folla e sembravano tutti alticci, con vestiti molto poveri, sporchi e abbiamo pensato a quei bambini che erano lì con loro e ci è venuto un po’ il magone. Tornando a casa, la suora ci dice che deve comprare il pollo. Ci fermiamo in mezzo alla strada e vediamo che il signore del negozietto (una baracca) prende un pollo vivo per il collo e lo porta nel dietro bottega. Dopo poco torna la suora con una busta! Vi lascio immaginare cosa ci sia dentro, visto e considerato che fino a 20 secondi prima era vivo e vegeto. Tornata al centro faccio un po’ di lezione di hindi. Le bambine mi circondano e nonostante non parliamo la stessa lingua riusciamo a capirci e in qualche modo a comunicare. Quadernino alla mano e prendo appunti. Si aggiungono poi le suore che si scrivono delle frasi in italiano sulla mano per ricordarsele. Elena è un po’ malatticcia e alla fine tenta di arrivare alla guarigione con una seduta di agopuntura fatta da una sister, che tira fuori mappe e libri per vedere quali siano i punti collegati alle zone dolenti del suo corpo. Nel frattempo io lascio la macchina fotografica ad una bambina che impazzisce e la tiene per un’ora facendo foto a tutto e a tutti. Prima dei saluti aiutiamo le bambine ad aggiustare una zappa con cui stavano lavorando l’orticello e le vediamo mentre prendono l’acqua da un laghetto con dei secchi per annaffiare le piante.
Sarà che abbiamo passato qui qualche giorno in più, ma abbiamo creato dei bei legami, abbiamo visto occhi e sorrisi pieni di gioia e speranza nonostante le difficoltà. Soprattutto una bambina mi ha colpito, Muskan, di dieci anni. Sempre sorridente che mi veniva sempre incontro e mi parlava nonostante non capissi assolutamente niente. Le suore ci hanno raccontato poi che insieme alla sorella erano state portate lì da un dottore che le aveva trovate a chiedere le elemosina alla stazione di Mumbai, dopo che il padre aveva tentato di ucciderle insieme alla madre e ad altri fratelli, che erano riusciti a fuggire. Loro invece erano talmente piccole che sono dovute rimanere col padre che le mandava a chiedere le elemosina. Storie come queste ce ne sono quante ne volete, ma non direste mai che sono collegate a quella bambina con quel bel sorriso stampato in faccia. Un po’ con i lucciconi salutiamo tutti e ci dirigiamo verso la stazione di Jharsuguda, dove prenderemo il treno notturno per arrivare ad Araku.
Dall’India è tutto. Dopo essermi caduta una saponetta nella turca mentre facevo la doccia col secchio vi auguro buona giornata. Ah e ho scoperto che orso in hindi è “balù” come l’orso del libro della giungla! Delizioso!  😀
Dil Namastè. (Ciao di cuore)

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31/10 CENTRO DI TAJPUR

Mercoledì 26 ottobre, dopo aver salutato Francis, ci dirigiamo verso Tajpur, dove l’associazione sostiene bambini provenienti da famiglie di lebbrosi, che stanno isolati rispetto ad altri bambini, altrimenti rischierebbero di contagiare. Qui ci sono circa 74 fra bambini e bambini dai quattro ai sedici anni. Siamo immersi nella natura e, appena arrivati, andiamo nella sala da pranzo dei bambini dove, essendo le 13,30 sta per consumarsi il pasto. I bambini sono tutti in fila nel centro della strada che fanno la preghiera, cantando tutti super concentrati con le mani raccolte sul petto. La preghiera finisce e il clima di calma diventa un via vai di bambini con le ciotole che corrono qua e là. Ognuno infatti prende il proprio piatto di acciaio e si mette in fila per ricevere il cibo. Oggi riso con pollo. È bello vedere che da soli eseguono questa operazione per poi sedersi al proprio posto e mangiare di gusto la propria pietanza (chiaramente con le mani che rende di più ). Alcuni sono anche molto piccoli! Finito il pranzo, ognuno provvede al lavaggio del piatto che avviene in una zona aperta, in grandi lavandini. I piatti poi vengono riposti, pronti per essere utilizzati a cena.
Nel pomeriggio inizio a fare qualche intervista ai bambini, ma non è facile. Molti sono davvero piccoli e timidi, e poi chissà cosa penseranno di noi che siamo piombati lì a fare loro tutte quelle domande! Stanchi dal viaggio ceniamo e poi andiamo a dormire. I bambini ci sono sembrati tranquilli e sereni e ci risulta difficile pensare alla loro vita prima di entrare in questo centro, alle difficoltà che, soprattutto i loro genitori abbiano dovuto, e tuttora stiano affrontando. Il giorno seguente capiamo che la chiave per il buon funzionamento del centro è la programmazione. Tutto sembra eseguito al minuto, probabilmente l’abitudine di orari e attività é una carta vincente per creare un ambiente sereno e organizzato con più di 70 bambini piccoli. Vi voglio illustrare quello che è il programma giornaliero che ogni giorno i bambini di Tajpur affrontano. Sveglia alle 6:00, (le camere da letto sono lunghe stanze in cui ci sono 30 letti circa), segue la preghiera, il vestirsi (tengono gli abiti e i giochi tra materasso e rete del letto) e l’andare in bagno. Una ragazza più grande tiene il dentifricio e davanti a lei si crea una gran fila per riceverne un po’: chi lo prende con lo spazzolino e chi direttamente col dito. Sciacquata di denti e faccia in bagno e pipì (bagni alla turca). Altra fila per “ingelatinamento” di capello, per passare poi ad un’altra fila accanto per spazzolamento ed infine ultima fila, per burro cacao appositamente messo da una bambina di 7-8 anni. Sono circa le 6:30: un’oretta prima della colazione che avviene con la stessa modalità del pranzo (piatto più servizio stile Self – Service), si mettono a studiare. Alle 8:00 si entra a scuola, ma prima di entrare a lezione c’è una sorta di pre scuola: è come un saluto iniziale, con canti e poesie, che abbiamo trovato in quasi tutte le scuole visitate. Si esce da scuola alle 13:30, si pranza e poi si fa il pisolino fino alle 15:00 in cui c’è il momento della doccia! Nel solito spazio in cui vengono lavati i piatti, si preparano dei secchi pieni d’acqua e le bambine più grandi provvedono al lavaggio e all’insaponamento dei più piccoli che poi provvedono da soli a rivestirsi. Segue il momento di studio, poi un po’ di pausa per giocare. Preghiera, cena e nanna. Ecco la giornata tipo di un bambino che vive nel centro di Tajpur. Non hanno possibilità di uscire spesso da questo posto, solo quando vengono organizzati dei picnic all’aperto per alcune festività. Mi ha stupito molto come bambini così piccoli facciano tutte queste cose da soli, senza storgere la bocca. Questa istruzione permette loro di essere indipendenti a 5 anni; stendono i loro panni ad asciugare, si rifanno il letto, lavano i propri piatti, aiutano nelle pulizie. Mi viene da pensare a quanto sia differente l’esperienza infantile che hanno questi bambini rispetto a quelli italiani, che alla domanda: “cosa ti piace fare?” sicuramente non rispondono “studiare”, ma pensano ai propri giochi. In India, il più delle volte i giochi sono condivisi oppure vengono inventati ed improvvisati e nonostante tutto si respira un bellissimo clima di gioia e serenità. Portiamo loro un po’ di pepe nelle loro vite, mentre loro arricchiscono le nostre.
Sul tardi abbiamo tempo per fare un giretto al mercato e, accompagnate dalle suore, facciamo shopping. Acquistiamo dei terribili poster super pagani degli dei hindu, Vishnu, Shiva, Ganesh per pochi centesimi. Questa zona non è certo affollata di turisti e tutti ci guardano dalla testa in giù, chiamano gli amici per dire che ci sono tre belle livornesi in giro per il mercato. Nemmeno fossimo le stelle nascenti di Hollywood! La sera i bambini ci fanno un delizioso spettacolino con vari balli e canzoni. Poi a loro è concesso mangiare seduti dove vogliono, e io mi unisco a loro, mimetizzandomi nella folla 🙂 Adesso che ci eravamo ambientati è già il momento di ripartire.. Ci aspetta una giornata di viaggio fino ad arrivare al centro di Karangabahla, che non ho la minima idea di dove sia. So che dobbiamo prendere un aereo e fare un bel po’ di ore di macchina. Namaskaar, Giuliana (come mi chiama la maggior parte delle suore!)  🙂

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24/10 CENTRO DI TANDA

Lunedì 24 ottobre,  nel cuore e la malinconia di lasciare il centro di Loni, che ci ha regalato tante belle emozioni e momenti, partiamo di buona mattina in direzione Tanda. Le suore salutandoci regalano ad ognuna di noi il tipico vestito indiano, in quanto per loro è tradizione far dei regali ai loro ospiti e non c’è modo di poter rifiutare. Il viaggio è piuttosto lungo e per strada ne vediamo di tutti i colori, gente sopra i tetti degli autobus, bufali che trasportano carretti pieni di canne di bamboo, cammelli con alle spalle enormi sacchi di fieno, barbieri improvvisati in mezzo alla strada, venditori di banane, santoni e chi più ne ha più ne metta. Pausa pranzo in una specie di autogrill dove spendiamo 2 euro a testa circa. Ripartiamo subito e dopo un bel pezzo di strada sterrata arriviamo al centro di Tanda. La struttura è bella, c’è un bel prato curato e si vedono i primi bambini che, vedendoci arrivare, ci corrono incontro. Questo centro è tenuto da suore e dal prete Marcus. Il clima che si respira è piuttosto rigido e organizzato. Ci fanno accomodare nella sala d’accoglienza, ci fanno sedere e inizia lo spettacolo con tanto di programmazione. I bambini ballano, cantano e fanno delle scenette. Come sempre, senza inibizione, ci buttiamo anche noi in sfide di ballo con i bambini che sono veramente bravi! Fra i bambini che fanno lo spettacolo cerco Francis ma non lo vedo. (Francis è il mio figlio fratello che da giugno ho iniziato a sostenere a distanza e che per il momento visto solo in foto.. mi piaceva anche solo l’idea di poter scambiare lettere e informazioni con lui ed invece ho potuto incontrarlo e conoscerlo!). C’ è forse un bambino che potrebbe assomigliargli un po’, ma non mi convince e chiedo alla suora. Francis non c’è, arriverà in serata! Quando meno me lo aspetto infatti, qualche ora dopo, ecco che mi si presenta davanti questo nano tutto timido ma con l’aria furbetta.. Francis! La foto che vede sotto è proprio con Francis 🙂 Purtroppo non parla molto inglese e quindi cerco di rompere il ghiaccio provando a farlo giocare a “filo filetto” e poi scrivo il mio nome  (un po’ alla Tarzan e Jane) e lui scrive il suo in hindi sul mio diario. Facciamo anche il saluto, che qui conoscono tutti i bambini, con le mani che partono con le corna fino a finire in una stretta di mano. È ora di cena e Francis raggiunge i suoi compagni. Anche qui le suore ci riempiono i piatti e non riescono molto bene a capire il concetto di celiachia, povera me! Provo a spiegare che non posso mangiare cibi con la farina e, dicendo di aver capito, mi offrono la pasta. Non c’è speranza ahah.

Dormiamo su dei comodi letti di mogano, nel senso che non c’è il materasso! Il mio è una tavola con sopra lenzuolo e coperta. Ma va bene, rinforza il corpo e la mente, unito alla classica doccia ghiaccia col secchio. La mattina seguente facciamo tutti insieme il giro di visite alle famiglie. La zona è un po’ spersa, non vicinissima alla città e i bambini per andare a scuola impiegano un’ora con la bicicletta. Immaginate di chiedere a Livorno ad un bimbo di uscire alle 6,30 di mattina da casa per andare a scuola, oltretutto in bici! Ci sembra impensabile! Le case di queste famiglie sono un po’ più grandi rispetto a quelle che abbiamo visitato a Loni e, a primo impatto, ci sembrano più ricche. Ma entrando vediamo che le stanze sono molto spoglie e che gli oggetti e gli utensili utilizzati sono gli stessi e pochi. Cosa che ci colpisce e ci fa anche un po’ ridere sono i bufali tenuti come animali domestici nei piccoli giardini delle case. Quasi tutte le famiglie ne hanno almeno due. Abbiamo anche visto delle specie di depositi in cui vengono messi gli escrementi seccati a forma di disco che poi la famiglia utilizza come combustibile. Vi lascio immaginare che aromi fluttuano nell’aria! Molti dei padri di questi bambini fanno lavori giornalieri, il che significa che non tutti i giorni hanno possibilità di guadagnare qualcosa, mentre le madri in quasi tutti i casi restano a casa. Finite le visite torniamo al centro dove facciamo le interviste ai bambini che sono molto simpatici e disponibili, balliamo e cantiamo mentre facciamo le riprese! Dopo badminton (o volano) e nonostante il poco allenamento tengo testa ai bimbi super allenati. Cerco di conquistare Francis, che sembra un bel bulletto e lo pedino ahah, stanotte ha perso anche un dente! È sdentato adesso! Dormiamo e la mattina ci svegliamo presto perchè ripartiamo! I bambini ci aspettano prima di entrare a scuola per salutarci. In questo centro abbiamo avuto meno tempo per poter stare con i bambini e infatti sentiamo un po’ meno il distacco. Saluto Francis e chissà se magari ci rivedremo fra qualche anno. Intanto ci prepariamo al prossimo centro, a Tajpur, in cui troveremo una situazione un po’ particolare in quanto i bambini ospitati sono tutti figli di lebbrosi, che non possono vivere in famiglia per evitare il contagio. Speriamo di trovare un bel clima e conoscere un sacco di bambini. Da Tanda è tutto!

Alla prossima, Giulia.

Francis

23/10 PRIMO CENTRO: LONI

Giovedì 20 ottobre abbiamo incontrato Marco, Lucia e Elena al terminal 3 dell’aeroporto di Delhi, piuttosto provati dal volo. Saluto un po’ triste Fede, che ci aiuta a caricare le valigie. Provo un misto di emozioni, sono felice, ma ho allo stesso tempo un po’ di paura per quello che vedrò, mi dovrò mettere alla prova in alcuni momenti.. E poi è la prima volta che abbandono per così tanto tempo il mio compagno di viaggio. Ad accoglierci all’aeroporto sono arrivate le suore che ci ospiteranno nel centro. Sono molto carine: ci hanno portato dei mazzolini di fiori. Saliamo in auto e ci dirigiamo in direzione Loni, a due ore da New Delhi. Ad attenderci ci sono un sacco di bambini che ci regalano delle belle collane di fiori. Salutiamo un po’ tutti frettolosamente e ci buttiamo sul letto. In questo centro ci sono molti bambini e ragazzi che hanno la poliomelite, quindi problemi nel camminare ed è qui che hanno possibilità di fare anche fisioterapia oltre ad andare a scuola. Le sorelle sono super disponibili e iniziano da subito a riempirci di cibo! La prima sera i ragazzi mettono su uno spettacolo di danze per noi e alla fine veniamo coinvolti nei loro balli indiani, riscuotendo molto successo. Il secondo giorno ci mettiamo a lavoro. Io ed Elena restiamo al centro a fare le interviste e con la scusa di fare amicizia ci facciamo fare il mendi, il tatuaggio all’hennè molto di moda qui. Le ragazze il pomeriggio partecipano ad un corso di estetista e le mettiamo subito alla prova. Scopriamo che il mendi ai piedi è solo per donne sposate. Facciamo anche un giro nel mercato qui vicino e veniamo assaliti dalle persone, tanto che arriva anche un poliziotto a vedere cosa stia succedendo! Tutti i ragazzi hanno iniziato a chiamarci “didi” che significa sorella, molto carino. Il terzo giorno sta a me il giro di visite, ansia! Devo entrare nelle case delle famiglie che hanno il figlio che fa parte del progetto di adozione a distanza e porre loro domande! Mi sciolgo un po’ e alla fine non va malissimo dai! Vediamo alcune case veramente essenziali, con una, massimo due stanze. Spesso solo uno dei genitori lavora e deve mantenere una famiglia di 4-6 persone. Alcune famiglie non hanno una propria casa, hanno problemi di salute e di depressione. Alcune madri ci chiedono di far entrare nel progetto anche gli altri loro figli piccoli. Le famiglie sono di religioni differenti: cristiani, musulmani e hindu. Tutti appena arriviamo ci offrono un bicchiere di tè, acqua, caffè e qualcosa da mangiare. In questa zona le case mi sono sembrate tutte molto simili, povere e con solo quello che serve per sopravvivere. Torniamo al centro, giochiamo con le suore e i bambini ad un gioco chiamato “Kabadi” molto famoso qui che mi ricorda molto il nostro “acchiapparello”. Le suore sono super cariche e ci siamo divertiti molto. Le ragazze poi mi rapiscono e mi vestono da principessa indiana, mi mettono anche il rossetto (prima volta in vita mia e me lo mette una suora!) e una treccia finta super pesante che mi disturba molto. Mille braccialetti, cento collane, il Bindi in fronte, velo e sono pronta per sposarmi con un pretendente che mi aspetta all’altare. Tutti impazziscono durante la celebrazione, balliamo e facciamo un sacco di foto! L’accoglienza e la genuinitá di questi bambini mi ha davvero fatto sentire a casa. Sono curiosi, educati, vivono tutti insieme come fratelli e sorelle, dal piccolo di 5 anni alla ragazza ormai donna di 17. È stato bello vedere come si aiutino l’uno con l’altra. Penso proprio che questi ragazzi rimarranno sempre nel mio cuore. Nonostante le difficoltà che hanno provano,  poi riescono sempre a fare tutto quello che hanno intenzione di fare! Sono stati sicuramente di insegnamento per me. Auguro a loro tanta fortuna per il loro futuro perché davvero si meritano il meglio. Mi sono fatta firmare il mio diario in modo da avere un ricordo in più di ciascuno di loro. (Qualche ragazza mi ha scritto anche un pensierino personale!)

A presto, Giulia.

tatuaggio hennè

18/10 ULTIMA TAPPA CON FEDE: VARANASI

Voliamo da Khajuraho a Varanasi, immergendoci nuovamente nel caos della città. Il tratto dall’aeroporto per arrivare sulle rive del “Gange” è piuttosto lungo e per strada vediamo tante case improvvisate, senza corrente e che sembrano crollare da un momento all’altro. La strada è praticamente mezza corsia a doppio senso. Un sacco di polvere e confusione. Il tassista ci lascia in un punto oltre il quale dice di non poter continuare, così zaino in spalla continuiamo a piedi alla ricerca del nostro b&b. Ormai si è fatto buio. Sappiamo che l’albergo è sulla riva del fiume così appena vediamo delle scalinate scendiamo e senza saperlo capitiamo in uno dei ghat (scalinata sacra) più importanti di Varanasi. Qui si sta tenendo infatti la cerimonia del tramonto. C’è un sacco di gente che seduta osserva degli uomini che danzano con il fuoco al suono di tamburi. Non possiamo fermarci, sudati continuiamo per la nostra strada e dopo un bel po’, chiedendo in giro, troviamo il nostro albergo. Dopo una meritata doccia usciamo alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Ormai è tardi e qui i ristoranti chiudono verso le 22, così rifiniamo su una squallida terrazza di un albergo e ci passa la fame. Non c’è nessuno e sul tavolo ci sono i chicchi di riso probabilmente di un mese prima che nessuno si preoccupa di togliere. Prendiamo una bottiglia d’acqua e un caffè e scappiamo a letto.

Ultimo giorno intero da sfruttare. Colazione vista Gange e si parte. Percorriamo a piedi i vari ghat, osservando le persone che si immergono nel fiume (puja) e che pregano di fronte al fiume sacro. Arriviamo al ghat delle cerimonie funerarie(Manikarnika Ghat), qui ci sono ceppi di legno ammassati ovunque, questi serviranno per cremare i defunti. Vari tipi di legno che corrispondono a prezzi differenti. Non troppo da vicino assistiamo a quella che è la cerimonia: su di una barella di bamboo il corpo del defunto, avvolto di teli colorati, viene immerso nel fiume per l’ultimo bagno sacro. Viene poi portato sul fuoco che non smette mai di ardere. A questo punto ci allontaniamo sia per rispetto,  sia perché comunque è una scena abbastanza  forte. Mi dicono anche che essendo donna non sarei potuta stare così vicino a questo ghat, ci sono infatti solo uomini ad assistere alla cerimonia. Nonostante si parli di morte, intorno a questo ghat la vita scorre normale, c’è chi a 2 metri fa la sua puja giornaliera, chi vende chai, chi chiede qualche spicciolo. La morte viene vista in maniera molto diversa da come la vediamo noi. Qui è liberazione  e chi muore a Varanasi viene considerato molto fortunato perché è nel Gange che si pone fine alla successione delle incarnazioni e l’anima si libera. Parlando di cose più allegre, vogliamo fare un po’ di acquisti. Se sei bravo e contratti un po’ riesci a passare dal prezzo turistico al prezzo indiano, che è molto conveniente. Dopo aver comprato una collana per ben 1 euro e 10cents, troviamo un ragazzo che ce le fa pagare 10 rupie (14 centesimi) e lì mi do alla pazza gioia. Compriamo il tipico rosario indiano che si chiama mālā, esiste di varie forme, colori e materiali. Il ragazzo ci lascia poi la sua mail perché ha un amico che può portarci a fare un giro in barca. “Arunlove166…” noi scoppiamo a ridere e anche lui si rende conto del suo contatto mail poco virile. Ci addentriamo e ci sperdiamo nei vicolini di Varanasi, troviamo mucche, capre e scimmie. Ci mettiamo poi seduti sugli scalini del Dashashwamedh Ghat ( l’ho chiaramente scritto copiandolo dalla mappa, è impronunciabile!), dove ogni sera al tramonto si tiene la cerimonia del “Ganga aarti” con falò, canti e puja. Il Ghat si riempe piano piano di gente, noi in effetti siamo arrivati un po’ presto, ma ne approfittiamo per assistere alla preparazione della cerimonia. Troviamo un posticino sul fiume e ci godiamo lo spettacolo da una prospettiva differente. Arriva il buio; i gradini e il fiume si riempiono di gente. Sì, perché arrivano decine di barche davanti al ghat per avere una vista dal fiume. E’ coinvolgente: gente che batte le mani e prega, chi compra la candelina da accendere , per farla  trasportare dalla corrente del fiume in segno di buon auspicio. La cerimonia dura un’oretta e si respira un clima di unione, di pace e serenità, difficile da descrivere, che coinvolge indiani e turisti ogni sera dell’anno. Compro anche io una candelina e togliendomi le scarpe, perché sono sul fiume sacro, la accendo e la lascio andare. (Abbiamo toccato l’acqua del Gange!!).  Cena e letto presto che l’ultima mattina ci svegliamo alle 5,00 per andare in barca. Siamo in tre, saliamo su una barca a remi e ci godiamo lo spettacolo dal fiume. Il sole piano piano si fa vedere. È stata una delle più belle albe che abbiamo mai visto. Il sole è tondo e grande, rosa scuro, brillante, al punto che la sua immagine è riflessa perfettamente nel fiume. Sull’altro lato si presenta la città e tutte le persone che si immergono nel fiume per la preghiera mattutina. Scorrendo nel fiume vediamo anche – mi scuso per dirvelo – dei corpi senza vita di animali galleggiare trasportati dalla corrente. E spero tanto di sbagliarmi, ma abbiamo visto anche il corpo di un bambino molto piccolo vicino ad una barca. Vogliamo credere si sia trattato di un bambolotto, un po’ per noi, un po’ perché con tutto il culto che hanno nei confronti della morte ci sembra strano che possa essere stato gettato così nel fiume.

Con questa immagine toccante ma che ci conferma quanto questo paese sia contraddittorio, carico di cultura e tradizioni, ma anche anni luce indietro rispetto a noi su certi aspetti, salutiamo la sacra e misteriosa Varanasi, città che ci ha accolto e ci ha fatto sperimentare un bel sentimento di pace e religiosità che raramente abbiamo trovato nelle altre città. Adesso ripartiamo per Delhi, dove domani aspetteremo Lucia ed Elena agli arrivi dell’aeroporto. Li, un po’ triste sicuramente, abbonderò il mio compagno di viaggio, federico, lasciandolo andare per la sua strada verso il Giappone, (ma ci rincontreremo – come nei film – sul volo di ritorno) ed io proseguirò qui in India, vedendo un’altra parte ancora di questo paese. La parte forse più povera e più lontana dalla vita delle città, ma forse più genuina e reale. Auguro buon viaggio alle ragazze del Faggio Vallombrosano e vi ringrazio di avermi seguito in queste tappe, certi che continuerò a scrivere anche nella mia seconda parte di viaggio. (Ormai da grande farò la fashion blogger!)  😉
Namastè

GANGE

17/10 RANTHAMBORE, AGRA E KHAJURAHO

La nostra speranza di avvistare tigri non si è avverata, ci siamo accontentati di qualche impronta sulla strada, cervi e antilopi asiatiche. Abbiamo comunque passato due giorni immersi nella natura, lontano dallo smog e dal traffico della città. Abbiamo visitato il Ranthambore Fort, un bellissimo fortino, immerso nel verde, in cui anche qui le scimmie fanno da padrone. Siamo gli unici “bianchi” e tutti ci salutano e ci guardano, non manca anche qualche selfie che i giovani ragazzotti ci chiedono un po’ timidi. Qui nella zona del Ranthambore National Park per strada non ci sono più solo mucche, ma anche bufali! Enormi bufali che passeggiano indisturbati per le stradine sterrate di questa cittadina. Dopo questi due giorni di relax è il momento di tornare nel caos!

Agra, la città del Taj Mahal, meta immancabile per chi viaggia in India. Prendiamo il biglietto direttamente alla stazione, (gli indiani non rispettano le file, stanno tutti ammassati allo sportello) e prendiamo un biglietto “generico”, non sappiamo ben cosa significhi ma il treno da prendere è quello giusto. Un ragazzo ci dice che con quel biglietto possiamo sederci nei vagoni comuni e nel caso, pagando a bordo, si può essere spostati di classe. Saliamo, è pieno di gente. Ad un certo punto miraggio: un tipo in divisa marrone viene verso di noi. Lo fermiamo e chiediamo come possiamo fare per trovare un posto (5 ore di treno ci attendevano ) e lui ci dice di seguirlo. Capiamo dopo che non è un controllore, ma un passeggero che ci accoglie nel suo scompartimento occupato da tutta la sua famiglia; si stringono un pò per farci sedere. Passiamo delle belle ore parlando, facendo dei giochi con penitenza (ho dovuto cantare “Azzurro” davanti a tutti), condividendo quello che avevamo da mangiare. Facciamo qualche foto con le bambine, contente di essere accanto a due ragazzi europei. Arrivata la nostra fermata, quasi ci dispiace lasciare questa famiglia, in viaggio per andare a trovare il figlio di questo signore, nato da poco e che nessuno aveva ancora visto. Questo è stato uno dei pochi episodi di reale ospitalità, senza chiedere niente in cambio, come spesso invece accade qui.  Per farvi capire la citazione degli indiani è “In India niente è gratis”. Il nostro hotel ad Agra è vicinissimo all’entrata est del Taj Mahal, il che fa passare in secondo piano la puzza di zolfo che non capiamo da dove provenga e la pulizia discutibile della camera. Il primo impatto con il maestoso Taj lo abbiamo salendo su un “roof” di un albergo che ha anche il ristorante. È bellissimo, maestoso. La sua figura rimane imponente anche con il tramontare del sole. E niente, siamo in India, di fronte al Taj Mahal a bere masala chai! Ci sembra una cosa da nulla.. Il mattino seguente decidiamo di alzarci presto, alle 5, per poter assistere alla visione del Taj Mahal all’alba. Ancora buio, ci avviamo all’ingresso e ci mettiamo in fila; solo dopo scopriamo che i biglietti si comprano a 1km di distanza ad una biglietteria. Lasciamo il nostro posto della fila e ci incamminiamo verso questo sportello, ma ci dicono che è un po’ lontano. Passa un tipo con una specie di risciò e saliamo. Non avevamo visto che era un ometto di 75 anni che pesava  45 kg. Appena un signore a passeggio col cane ci supera, decidiamo di scendere e prendere un vero tuc tuc. Biglietti alla mano torniamo all’ingresso, dove nel frattempo si è creata un’enorme fila. Eh vabbe, ci mettiamo in fondo e aspettiamo. E finalmente eccolo la, davanti a noi in tutta la sua potenza e maestosità, si presenta il Taj Mahal, il mausoleo più famoso e visitato al mondo! E davvero ne vale la pena! Qualche foto di rito e iniziamo la visita. Ci togliamo le scarpe e percorriamo a piedi tutta la parte in marmo (ci avevano dato i copri scarpe ma a noi piace più stare scalzi). Passiamo qui due ore. Fortunatamente non c’era moltissima gente e abbiamo potuto visitarlo bene. Una volta usciti abbiamo tutto il giorno da passare ad Agra perché dobbiamo aspettare le 23,20 per prendere il treno per Khajuraho. Ci incamminiamo quindi senza meta, rifiutando passaggi da milioni di tuctuc che ci affiancano. Visitiamo l’Agra Fort e ci perdiamo nelle viuzze caotiche della città. Tardo pomeriggio e cena lo passiamo sulla terrazzina del giorno prima a contemplare per le ultime ore il Taj Mahal.
Si riparte direzione stazione. Qui c’è il caos totale. Gente che aspetta il treno sdraiata ovunque, che dorme, che mangia, che semplicemente ammazza il tempo. Questa volta proviamo il treno notturno in ”sleeper class” che tradotto in italiano significa: “ammassi di gente che dorme in ogni modo e in ogni luogo del treno”. Siamo talmente stanchi che non vediamo l’ora di buttarci nella nostra brandina. A me tocca il terzo piano. Passano due minuti che già dormo. Non é stata nemmeno una delle peggiori dormite della vacanza se devo dire la verità, abbiamo trovato alberghi moooolto peggio. Eccoci a Khajuraho, ah bene, di nuovo immersi nella natura e facciamo i vips con albergo con piscina. Visitiamo, nonostante il sole cocente, il gruppo di templi che caratterizzano la città. Noleggiamo per pochi soldi una moto e facciamo anche un giro fuori dal centro. Tra l’altro siamo gli unici ad avere il casco in India e tutti ci guardano e ridono ahah. Arriviamo anche all’Old Village. Qui ci sono case fatte di argilla, cancellini improvvisati con legni, bambini che fanno il bagno nel lago, donne che puliscono i panni in alcune pozze d’acqua. I bambini ci salutano calorosamente e qualcuno ci chiede se abbiamo delle penne per la scuola. Mi chiedo come sarà la vita nei villaggi che andremo a visitare la prossima settimana.
Federico, nonostante la guida all’inglese degli indiani se la cava bene per le strade attivando la modalità di guida “albanese” e acquisendo rapidamente l’arte del suonare il clacson a caso, tipica della guida indiana. Ceniamo in una capanna sull’albero e andiamo a dormire. Domani abbiamo l’ultima tappa del nostro viaggio insieme, la sacra Varanasi. Un saluto da Sir e Madame, qui ci chiamano così 🙂

India

13/10 PUSHKAR E JAIPUR 

Tappa successiva nel nostro itinerario è Pushkar, città sacra, dove almeno una volta nella vita il bravo hindu deve andare (così leggiamo nella guida). Il viaggio per arrivarci in treno degno di nota. Prendiamo il biglietto, fieri di quanto lo avessimo pagato poco, una cosa del tipo 3 euro in due per 5 ore e mezzo di viaggio, ma poi ci ritroviamo invasi da mille persone, sopra-sotto. Alla prima fermata (8 a.m) passano il gelataio, il venditore di noccioline e io provo un pò di riso con patate servito su un pezzo di carta, consigliatomi da un simpatico signore pacioccone di fronte a noi. A Pushkar tutti sono vegetariani e vegani; questa è la meta di giovani frikkettoni ma anche dei Woodstockianni che non mollano, è basata sul culto del lago sacro, dove si dice furono gettate le ceneri di Gandhi. Intorno al lago ci sono i gath, le scalinate che portano all’ acqua. Qui dobbiamo toglierci le scarpe per raggiungere la prossimità del lago nonostante mucche e cani vi facciamo i loro comodi! Ad ogni gath troviamo qualche santone che ci dice qualcosa, e ci proibisce di fare foto al luogo sacro, ma non diamo mai molto ascolto perché guardandoci intorno vediamo che tutti si sparano milioni di selfie 😀 chiaramente cerchiamo di rispettare chi è lì per pregare.
L’acqua è sporca, pesci morti che galleggiano, ma l’ indiano, quello hindu vero, va oltre e va di siuski nel lago sacro. C’è chi lascia una collana di fiori, chi si lava, chi prende dell’acqua mettendola in una busta. Abbiamo visto l alba e il tramonto sul lago, momenti di cerimonia, in cui molte persone si riuniscono intorno alle acque a pregare. Altro momento che vorrei condividere con voi, il viaggio da Pushkar verso la stazione per andare a Jaipur. Il tipo dell’albergo ci dice che può chiamare lui un suo “amico” che ci accompagni. Noi accettiamo e ringraziamo. Si presenta la macchina della scuola guida con tanto di istruttore e assistiamo alla sua lezione di prova in mezzo al traffico indiano, che non è spiegabile ma va vissuto. Più volte è stato sfiorato il frontale perché l’alunno era in vena di chiacchiere e si voltava per parlarci. Fortunatamente l’istruttore ha provveduto a raddrizzare il volante e a farci uscire illesi.
Per Jaipur ci vogliono due ore. Ci accomodiamo sul treno, si parte e dopo poco arriva il controllore, gli diamo il biglietto (pagato tra l’altro un sacco per i prezzi locali) e lui lo guarda storto.. la data è del giorno precedente! Quello della biglietteria aveva inserito la data sbagliata! Noi mortificati cerchiamo di spiegare, ma non sentono storie, arriva un controllore più cattivo e ci dice che dobbiamo scendere oppure pagare 4800 rupie (più di 60 euro). Noi neanche gli avevamo quei soldi. Mentre io, triste, sistemo le borse per scendere, Fede va a riprovarci col controllore e, dopo poco, lo vedo spuntare chiedendomi se voglio un tè. Ahah quindi viaggio salvo. Fede è peggio degli indiani a contrattare. Arriviamo a Jaipur che è come Delhi, caos, tuctuc, mille milla persone ovunque. Veniamo accolti all’hotel con cerimoniale inatteso, petali che cadono dal primo piano su di noi, collana di fiori e il tradizionale Bindi, il pallino rosso sulla fronte. La sera ci buttiamo in balli tradizionali e proviamo (riuscendoci con lo stupore di tutti) a fare il fachiro sui chiodi! Rimanendo in tema “cose stupide da fare in India”, ho abbracciato un elefante e dipinto sulla sua pancia, Fede ha guidato un tuc tuc, sono scivolata su una buccia di banana al templio delle scimmie (bellissimo, nascosto in mezzo alle montagne) e una scimmia è saltata sulle spalle di Fede. L’ultima sera, per finire, ci godiamo dalla terrazza dell’albergo i fuochi d’artificio che invadono tutta la città, ha luogo infatti il Dussehra Festival, la vincita del bene contro il male, speriamo sia di buon auspicio!
Prossima tappa Ranthambore National Park, alla ricerca di tigri! Fateci un grosso in bocca al lupo!
Noi intanto mangiamo masala chicken! 😀

ELEFANTE - INDIA

08/10 DELHI E UDAIPUR 

Ed eccoci qua, in India! L’impatto con Delhi è stato forte, per vari motivi, il caos, lo smog, la grandezza della città, clacson che suonano all’impazzata senza motivo, milioni di tuc tuc che invadono le strade, gli odori, o forse meglio dire i “puzzi” nell’aria, un sacco di persone che se ne stanno sul marciapiede, le stesse che poi rincontriamo la sera che dormono lì dove le avevamo lasciate. Città contraddittoria, dove regna forse un po’ di indifferenza. Abbiamo alloggiato in una zona definita dei turisti, ma turisti non ne abbiamo visti molti, ma a noi poco importava. Città di passaggio insomma.

Scampata la truffa di un finto “tourist information”, la mattina seguente si ritorna all’enorme aeroporto, questa volta in metro, perfetta, direzione Udaipur. Udaipur è romantica, città che si affaccia sul lago Pichola, intima la cittadina che vi si affaccia. Molto turistica, ma super tranquilla, ci sono un sacco di localini sulle terrazze, mucche che passeggiano per la città, le persone salutano e chiedono da dove veniamo, e stamani abbiamo visto anche un elefante! Il primo della mia vita (escluso il poveretto dello zoo di Pistoia). Elefante addestrato a ricevere mance dalle persone e a passarle direttamente al suo padrone, sopra di lui! Abbiamo assistito ad una cerimonia in onore di Vishnu (piano piano capiamo le varie divinità) e fatto un’ora abbondante di yoga con un tipino super snodato di 70 anni, che ha terminato la pratica con una grassa risata! “La vita è quello che tu sei” c’era scritto sul muro della stanza. Molto interessante e spero di poter ripetere questa esperienza! Intanto vi mando un selfie con l’elefante e un grandissimo Namastè!

Domani siamo in partenza per Pushkar, città famosa per il mercato dei cammelli.

india

04/10 PRONTI, PARTENZA.. INDIA!

Ed eccomi qua, faccia a faccia con il tempo e con la mia scarsa memoria e abilità organizzativa. Partirò due settimane con il mio ragazzo Federico per l’India e là, raggiungerò Elena e Lucia per fare il monitoraggio per il Faggio. Stamani riunione generale proprio con lui per vedere alcuni punti del nostro itinerario, in cui faremo i turisti nelle zone del Rajasthan. Alcuni punti sono da vedere ma ce la sbrigheremo direttamente là, siamo positivi 🙂

Domani partenza alle 20,40 da Fiumicino diretto per New Delhi.. tra l’altro primo volo con pasto celiaco e vacanza all’insegna di questa divertente limitazione! Brevemente vi racconto quello che sarà il nostro itinerario, non voglio annoiarvi più di tanto. Da Nuova Delhi ci sposteremo con un altro volo interno a Udaipur, città fatta di piccole stradine che sorge sul lago Pichola. Da qui non sappiamo ancora bene come, cercheremo di raggiungere Jodhpur, la città blu del Rajasthan. Tappe successive saranno Pushkar, Ajmer e Jaipur. Da qui ci immergeremo due giorni nella natura, cercando di avvistare le tigri. Ritorniamo poi alla civiltà con tappa Agra, famosa per il Taj Mahal, non tutti sanno che si trova qui! Poi proseguiamo per Khajuraho, famosa per i suoi templi immersi nella natura e Patrimonio dell’Umanità. Ultima tappa, prima di ritornare a Nuova Delhi sarà la religiosa e sacra Varanasi. Avete presente quando vedete quelle immagini o video di persone che si ammassano sul Gange, si lavano, fanno il bagno, gettano oggetti (e non solo) nel fiume? È qui che tutto accade, nella città considerata una delle sette città sacre dell’induismo. Da bravi backpackers improvviseremo alberghi/ostelli quello che sarà, mezzi di trasporto e lingua 🙂. Mi piacerebbe anche fare una seduta di yoga in qualche centro millenario, chissà.. Finite queste due settimane, non torno di certo indietro. Saluterò Federico, che proseguirà da solo per il Giappone.

Il 19 ottobre mi incontrerò con Lucia ed Elena all’aeroporto di Nuova Delhi e con loro proseguirò altre 3 settimane in India. Fra una frase e l’altra sto cercando intanto di dare forma e senso al mio “backpack”, mio caro compagno di viaggio, che affronterà per la seconda volta un bel giretto intorno al mondo (l’anno scorso gli è toccato il Sud America). Devo concentrarmi e pensare a cosa possa servirmi che forse non ho scritto nella mia lista.. Come al solito mi renderò conto che sto realmente andando in India domani, quando starò sorvolando l’oceano Indiano. Per ora è tutto, ci sentiamo da New Delhi!.. Se mi ricordo di mettere il cellulare in borsa!

Namastè

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29/09   FOTOGRAFA IN TRE LEZIONI

Stamani levataccia, per i miei orari standard, verso il santuario di Montenero dove si trova l’ufficio del Faggio Vallombrosano. Ad attendermi un sorridente e fresco Marco, pronto a tenere una lezione di fotografia testa testa con me.

Il nostro viaggio in India é soprattutto un modo per monitorare e verificare la situazione dei centri e delle famiglia, tramite raccolta dati ed immagini ed è dunque importante sapere su cosa concentrarci nel fare le fotografie e come farle. Dopo una tiritera sugli Iso, sullo zoom, sul flash, finalmente siamo passati alla pratica, vedendo quali angolature, distanza da tenere durante le foto, improvvisando un servizio fotografico a Montenero.

Finita questo breve ma intenso corso accelerato per principianti, con compiti per casa annessi, ci siamo trovati con Lucia ed Elena e ci siamo riuniti alla tavola rotonda per parlare di alcuni dettagli del viaggio. Prima di tutto c’ è stata la consegna dei nostri amati passaporti con tanto di visto indiano annesso, che tanto abbiamo desiderato, poi siamo passati a parlare di cosa portare e cosa invece lasciare a casa. È sorto il problema dei piercing, del fatto che più brutta sei meglio è ahah, ma soprattutto mi è subentrato il dubbio che Francis (mio figlio fratello) possa essere antipatico! e se nel vedermi non esprimesse emozioni e non gliene fregasse nulla!? Speriamo sia simpatico!!

Anche questo è un momento che ad ora non so immaginarmi, penso che lui non sappia chi sono io perché non abbiamo ancora avuto modo di scriverci durante l’anno e quindi chissà come reagirà quando saprà che sono andata lì per  conoscerlo.. Questo fatto delle emozioni è la cosa che più fra tutte mi lascia un pò col fiato sospeso. Non so come reagirò in determinate situazioni che potrebbero risultare cariche di stimoli, positivi o negativi che siano. E spesso ci ho pensato prima di dormire, e, cosa che non mi capita mai, sono rimasta ore con gli occhi pallati al soffitto a pensare a questo. I miei compagni, che sono già stati in India, sdrammatizzano molto e quindi mi sono tranquillizzata. Sarà comunque un’ esperienza intensa che mi farà crescere. Intanto mi esercito a fare le foto, altrimenti Marco mi elimina dal gruppo Facebook dei volontari! 🙂

Alla prossima,
Namastè.

giulia

19/09  UN MESE ALLA PARTENZA

In realtà manca un po’ meno;  sì perché  il 5 ottobre partirò con il mio fidanzato Federico per New Delhi. Per due settimane visiteremo il Rajasthan, aspettando il 20 ottobre, quando – sempre a New Delhi –  mi incontrerò con Lucia ed Elena. Marco e Lucia li ho conosciuti quest’inverno ad una classica lezione di cucina indiana tenuta da suore indiane, un sabato pomeriggio qualunque. Siamo poi rimasti in contatto ed hanno visto in me, probabilmente,  una potenziale “vittima” da coinvolgere nei loro piani! (Scherzo, mi fa piacere condividere con loro questa esperienza!!). Marco, Elena e Lucia lavorano per l’associazione Faggio Vallombrosano che si occupa di adozioni a distanza in quattro Paesi (India, Honduras, Angola e Brasile) e con le loro idee, incontri e progetti stanno cercando di farsi conoscere sempre di più sul nostro territorio! (Anzi, già che ci siamo andateli a cercare su FB)  🙂

Cosa faremo in India? Bè, andremo in varie località – alcune dai nomi impronunciabili – a monitorare il lavoro dei centri che l’Associazione sostiene , visiteremo le famiglie dei bambini adottati, faremo foto ed interviste. Sono emozionata e un po’ impaurita, dovrò mettermi alla prova per quanto riguarda la comunicazione, le attività, ma allo stesso tempo mi piace l’idea di andare incontro ad una sfida.

Come ogni fine stagione, le persone sanno che è il mio “momento viaggio” e mi chiedono dove andrò. Quando rispondo “India” tutti mi sembrano un po’ dubbiosi ma questo devo dire che non mi scoraggia, anzi, mi incuriosisce sempre di più scoprire cosa porta con sé questo paese, che mi sembra così lontano e diverso dal nostro.  Qualche vaccino (tifo, colera, epatite A) me lo sono giù fatto. Ora non resta che aspettare qualche giorno per realizzare che sì, davvero, sto per andare in India. Sarà un’esperienza forte, che diventerà parte di me. Intanto mi studio qualche notizia e itinerario.

Ah, mi ero dimenticata di dire che ho un “figlio – fratello” in India! Si chiama Francis e ha 6 anni e gli piace andare in bicicletta, proprio come me! Avrà modo di incontrarlo! 🙂

A presto, Giulia.

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